AGRICOLTURA

L a coltivazione dei terreni, nel tenimento del nostro comune è stata praticata fino agli anni '50, quando l'emigrazione in massa da parte degli abitanti verso l'estero, come il Canada, la Francia, la Germania e successivamente verso il Nord Italia, causò l'abbandono dei terreni.

Sono rimasti incolti fino agli anni '70, quando l'utilizzo dei mezzi meccanici (trattori, seminatrici, mietitrebbiatrici, ecc..) ha favorito un ritorno delle persone alla coltivazione della terra.

Attualmente grazie ad un impegno maggiore dei mezzi meccanici, i terreni vengono coltivati con l'introduzione di nuove colture, anche se non sei sono raggiunte produzioni importanti.

Negli anni passati, si seminavano: grano, avena, e in minor quantità, orzo e marzellina ( una specie di grano tipico del luogo, la cui farina veniva utilizzata per la pasta fatta in casa)

Si piantavano in gran quantità: granoturco, fagioli, fave, ceci e piselli. Mentre gli alberi da frutto, quali meli,ciliegi, peri, albicocche, sorbi, prugni, venivano trapiantati ed innestati con perizia dai contadini ed i frutti costituivano, a seconda della stagione, una ricchezza importante per la famiglia. Alcuni frutti, come le pere selvatiche si conservavano per l'inverno, raccolte in ceste di vimini e ricoperte dalla paglia. Le sorbe, raccolte in una ghirlanda, venivano lasciate essiccare, mentre oggi, si lasciano marcire sugli alberi.

Tutte le produzioni agricole, erano utilizzate, anche come moneta di scambio. I contadini dell'epoca tenevano in grande considerazione le fasi della luna, infatti alcune piante si seminavano con la luna calante ed altre con la luna crescente.

Rilevanti erano le ricorrenze religiose, in particolare vi era l'usanza, di piantare un ramoscello d'ulivo benedetto, la domenica delle Palme. Nel mese di maggio, una processione detta  "San Vito delle Corone", considerata importante per la riuscita di un buon raccolto, dal paese si recava presso la chiesa dedicata al Santo, in segno di penitenza e supplica.

Infine nei tre giorni precedenti all'ascensione, gruppi di persone guidati dal parroco, si posizionavano, cantando e pregando, nei tre punti principali di accesso al paese chiamati "La croce", "Fontanella" e "Dietro le Mura" invocando la benedizione del Signore sui campi.

Il buon raccolto, dipendeva sì dalla perizia del contadino, il quale scrutava sempre il cielo, osservava la direzione dei venti, il favonio o la bora, i cui cambiamenti indicavano un miglioramento o peggioramento del tempo; verificava la durezza dei chicchi di grano o del granturco, stabiliva quando si poteva seminare e quando si poteva raccogliere, ma dipendeva molto dalla conoscenza del tempo edei suoi cambiamenti, infatti mentre oggi si riescono a limitare i danni del maltempo, nel passato, era inevitabile che un semplice acquazzone o una gelata, compromettesse l'intero raccolto.

Il cattivo raccolto era un danno più grande per chi doveva pagare l'affitto ai grandi proprietari terrieri ( le famiglie Maresca ed Antinozzi davano in affitto oltre 2000 versure di terra), infatti era comunque richiesto il versamento della quota ( corrispondente di solito da 8 a 15 tomoli di grano per versura, a seconda della qualità del terreno e della contrada in cui si trovava), indebitando enormemente il malcapitato, il quale a volte doveva versare l'intero raccolto per il pagamento del debito accumulato.

 

Il lavoro nei campi

Il lavoro nei campi, veniva svolto esclusivamente a mano impiegando zappe e vanghe, solo l'aratura veniva effettuata con l'aiuto degli animali, una coppia di buoi ai quali veniva attaccato l'aratro, prima in legno e poi in metallo.

Come unico fertilizzante veniva utilizzato il letame, costituito da sterco di pecora, mucca, prodotto in quantità dagli animali posseduti da quasi tutte le famiglie.

 

Il grano , era come oggi, la principale coltura praticata difatti la sua coltivazione e raccolta era il periodo più importante dell'anno.

La coltivazione del grano, si divideva in quattro fasi:

          > Aratura

          > Semina

          > Mietitura

          > Trebbiatura

 

L' aratura veniva eseguita verso la fine del mese di settembre inizi di ottobre. Il contadino doveva prima controllare la consistenza ed il colore della terra e soprattutto le condizioni del tempo. Per questa operazione era fondamentale l'impiego degli animali, prima e dei mezzi meccanici dopo, con i quali il lavoro oltre ad essere svolto velocemente, veniva fatto meglio.

La semina veniva eseguita tra il mese di ottobre e fino al mese di dicembre. Le sementi, raccolte e conservate gelosamente per tutto l'anno, venivano messe in una sacca che il contadino portava a tracolla e nel percorrere il campo, le prendeva con le mani e le lanciava nel terreno arato. Era un operazione in apparenza facile, ma il seminatore nel percorrere a piedi tutta l'estensione del terreno doveva tenere bene a mente le zone già seminate e lanciare con la mano, sempre la stessa quantità di grano, in modo che la semina fosse uniforme. Era un lavoro eseguito interamente a mano, oggi sostituito completamente dalle seminatrici meccaniche.

La mietitura coincideva con gli inizi dell'estate.

Da questo comune interi nuclei familiari,si spostavano per mesi interi verso le zone di pianura, dove si iniziava a mietere molto prima per ritornare in montagna.

Nel primo caso gli abitanti di Celle che praticavano la mietitura, si recavano prevalentemente verso i centri di Troia, Foggia e nei paesi vicini, ove maggiori erano le estensioni di terreni coltivati. Dormivano quasi sempre all'aperto, al riguardo sono state raccolte testimonianze di braccianti che nel comune di Troia, dormivano per le strade, in particolare nei pressi della chiesa di San Giovanni di Dio, l'attuale viale Matteotti o nella chiesa dei Missionari. La paga veniva contratta prima di iniziare il lavoro (negli anni '30 un bracciante veniva pagato 8-9 lire al giorno), importante era inoltre stabilire il vitto, fornito dai proprietari dei fondi e le pause per consumarlo, la quantità di cibo, acqua e soprattutto di vino, che variava a seconda dei luoghi di mietitura.

Presso gli anziani del posto si è venuti a conoscenza di episodi di schiavitù, avvenuti nel passato, quando le persone per mietere e raccogliere il grano venivano frustate ed alla fine del lavoro, nemmeno pagate.

Al ritorno dalla pianura, la mietitura veniva continuata nei propri terreni. Infatti le persone si alzavano verso le quattro del mattino e partivano con sulle spalle la bisaccia con la colazione; a pranzo si mangiavano pezzi di salsiccia o di costato di maiale (cumpost') e per bere soprattutto vino, bevuto direttamente dai barili (barrìglje).

Formata la 'paranza', ovvero la squadra di mietitori, si procedeva alla raccolta del grano e la giornata durava in pratica dall'alba al tramonto.

Era un lavoro faticoso,reso più duro dal sole cocente; i mietitori sul capo mettevano un fazzoletto in tessuto tenuto fermo da un cerchio di ferro o di legno per ripararsi dal sole, per proteggersi le dita della mano sinistra, la quale reggeva il manipolo, usavano dei pezzi di canna o di tela chiamati "cannìll " ed un grembiule di grossa tela, con una grande tasca davanti.

Con la falce si tagliava il mazzetto di spighe chiamato " manipolo " il quale veniva prima legato in fascine dalle donne e poi raccolto in " covoni " per essere trasportato per la trebbiatura.

Significativa al riguardo è la poesia ( Tempi di una volta - Tèn de 'na vaje )

 

                              cànt fattìje ne fasciàvan!

                              Ore é tùtte abbandunà

                              A lo tén note passà

                              lu mattìn s'auzavàn

                              ch'éve ancore schiért;

                              la fasìglje 'nghiòcche la spàle,

                              lo cannìlle 'nghién la vandére,

                              ne savàn purélle e cuntén

                              se n'allavàn sémp ciantan.

                             Tùtte a 'nzén s'abbiavàn,

                             le bète i savànt bùne ciargià

                             de cumpòst e barrìglje de vìn.

 

                                                                                   (tratta da Suàjeme di Vincenzo Minichelli)

 

La trebbiatura, era una operazione necessaria per far uscire il chicco dalla pula, dall'involucro che lo proteggeva.

I covoni venivano trasportati sull'aia con l'aiuto di muli o buoi in grosse ceste di legne (travaglje).

Le aie principali erano, l'attuale campo sportivo detto " Arevàlje ", " Buffaviento " nei pressi del cimitero ed altri luoghi a seconda della posizione dei terreni.

Le spighe venivano stese sull'aia a forma circolare, sulle quali veniva fatto passare una grossa pietra (tùfe) trainata dai muli, per la cosiddetta  " trebbiatura a sangue ".

Successivamente veniva ventilato a mano, mediante delle forche, per questo venivano scelti luoghi maggiormente esposti ai venti, infatti veniva lanciato in aria per separarlo dalla pula ed infine veniva passato nella  " spulatrice " per eliminare qualche spiga rimasta.

Il lavoro della trebbiatura terminava con il trasporto della paglia, che veniva impiegata, a secondo della sua qualità, come foraggio per gli animali durante l'inverno, quella meno buona utilizzata come combustibile per i " forni a paglia ", gli unici allora esistenti.

Il grano ricavato veniva conservato in sacchi o in cassettoni, parte conservato per la semina, parte conservato per ricavarne farina e parte impiegato come moneta per pagare debiti.

Il grano messo da parte per la famiglia, quindi per ricavarne farina, veniva lavato, messo ad asciugare su dei teloni posti lungo le strade del paese, antistanti alle abitazioni.

Il buon raccolto, per le famiglie più agiate, faceva sì che alla fine della raccolta del grano, diventava un avvenimento da festeggiare, in una festa denominata " capecanà ".

Attualmente, grazie all'ausilio dei mezzi meccanici, che hanno sostituito interamente il lavoro delle braccia, coltivare i campi è molto meno faticoso e più redditizio.

Dalle descrizioni del lavoro di una volta, è inevitabile a causa dei ricordi e della nostalgia, idealizzarlo, ma in definitiva si trattava di lavori pesanti che abbruttivano le persone, mal pagati e poco redditizi, ma lasciano comunque, quella sensazione dei tempi andati, che nonostante tutto, erano felici perché poco bastava o doveva bastare  ed importante era la propria identità a fare di una comunità, per riuscire a sopravvivere in tempi molto difficili.

 

 

 

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